Si parla spesso di quanto sia etico raccogliere e consumare il miele ed i prodotti dell’alveare, ed ogni apicoltore possiede una sua personalissima visione di cosa significhi fare apicoltura, ma soprattutto di come vada fatta.

Ne abbiamo anche parlato in questo nostro video, clicca qui sotto per vederlo!

Con questo articolo cercherò di dare qualche informazione ai non addetti ai lavori su come viene praticata l’apicoltura.

L’alveare è l’insieme della famiglia di api, tipicamente formato da una regina, da diverse migliaia di api operaie (da 40 a 60.000) e da qualche migliaio di fuchi (i maschi).

Rappresentazione del fuco (il maschio), della regina, e dell'operaia. Il fuco è piu tozzo ed ha occhi più grandi, mentre la regina ha l'addome più lungo sia rispetto ai fuchi che alle api operaie.

Rappresentazione del fuco (il maschio), della regina, e dell’operaia. Il fuco è piu tozzo ed ha occhi più grandi, mentre la regina ha l’addome più lungo sia rispetto ai fuchi che alle api operaie.

 

Questo insieme di insetti viene chiamato superorganismo. Ma che cos’è un superorganismo?

Una apis, nulla apis. Un'ape da sola non può sopravvivere o riprodursi. Lo sciame di api aggrappate l'una all'altra è una delle espressioni più affascinanti del superorganismo.

Una apis, nulla apis. Un’ape da sola non può sopravvivere o riprodursi. Lo sciame di api aggrappate l’una all’altra è una delle espressioni più affascinanti del superorganismo.

 

Il superorganismo, per definizione, è un gruppo di individui che posseggono proprietà molto simili a quelle di un singolo organismo. Mi spiego meglio:

Un’ape mellifera, la cosiddetta ape da miele, non può esistere da sola.

Sia essa un’operaia, una regina oppure un fuco anche se nutrita ed accudita, se isolata dal resto del superorganismo muore nel giro di breve tempo.

 

PERCHE’ UN’APE NON PUO’ SOPRAVVIVERE DA SOLA?

La scienza ci viene in soccorso e ci spiega che questi insetti si sono evoluti nell’arco di milioni di anni, sviluppando come strategia di sopravvivenza la socialità e la suddivisione in caste. In ogni alveare decine di migliaia di api operaie ogni giorno rinunciano alla riproduzione (lasciando l’incombenza ad una sola regina) per incrementare le possibilità di sopravvivenza di tutto il superorganismo.

Per comprendere meglio il concetto, diciamo che ogni ape può essere vista come una singola cellula del nostro corpo. Tanto sacrificabile quanto indispensabile per il funzionamento di tutto “l’organismo”, ovvero l’alveare.

Immaginiamo il nostro corpo come un grande agglomerato di cellule (api), quindi come un alveare. Chi si occupa di noi e prende le nostre difese quando ci procuriamo un trauma come un taglio o una frattura?

Il nostro corpo è formato da un’insieme di cellule (le api), che si attivano per difendere il nostro corpo ed impedire che accada il peggio. Sono le stesse cellule che ci permettono di guarire e di restare in vita.

Una famiglia di api funziona grossomodo così, l’ape operaia si comporta proprio come una cellula, ovvero difende senza il minimo indugio (e spesso a costo della sua stessa vita) l’organismo di cui fa parte .

Le singole api operaie all'interno del superorganismo si comportano come le cellule all'interno del nostro corpo.

Le singole api operaie all’interno del superorganismo si comportano come le cellule all’interno del nostro corpo.

 

Detto questo, si incomincia a comprendere per quale motivo le api si sacrifichino in questo modo non solo per la difesa dell’alveare, ma per tutte quelle attività che determinano la sopravvivenza dello stesso: non capita raramente infatti che le api lavorino fino a consumarsi le ali, o muoiano stremate sopra ai fiori, svolgendo diligentemente fino all’ultimo respiro il loro lavoro.

Perché avviene tutto ciò? Perché tutto questo fa parte del “gioco della sopravvivenza” del super organismo.

 

IL GIOCO DELLA SOPRAVVIVENZA: LA SCIAMATURA

In ogni alveare decine e decine di api muoiono ogni giorno, ma molte di più ne nascono per far sì che il superorganismo possa un giorno moltiplicarsi attraverso il fenomeno della sciamatura.

Quando l’alveare è all’apice della forza, la regina regnante se ne va con circa la metà delle api e le scorte di miele necessarie per poter costruire un nuovo nido altrove.

All’interno dell’alveare abbandonato rimangono quindi l’altra metà delle api e la nuova regina nascente che da quel momento in poi governerà l’alveare avvantaggiandosi di ciò che ha ereditato, cioè i favi di cera già costruiti ed una buona razione di scorte.

Se vuoi qualche informazione in più in merito alla sciamatura, ti rimando a questo articolo che ho realizzato: Sciame vicino casa: che fare?

Parliamo di sciamatura quindi, perché alla base di tutto ciò che le api fanno c’è l’istinto di conservare e diffondere il proprio patrimonio genetico.

Abbiamo visto che alle api per poter sciamare serve del miele, che è sostanzialmente il loro carburante. Il miele è quindi un prodotto delle api e viene immagazzinato in abbondanza per istinto di sopravvivenza.

La strategia di sopravvivenza del superorganismo consiste infatti nel produrre in abbondanza api, miele e polline, per compensare tutte quelle perdite che normalmente avvengono negli alveari per i motivi più disparati e fuori dal suo controllo, come ad esempio:

  • Perdite di api per malattie.
  • Saccheggi da parte di predatori.
  • Periodi di carestia per via del clima.

Anche in natura dentro al tronco di un’albero in una foresta sperduta, le api cercheranno di accumulare miele, possibilmente andando oltre a quanto gliene servirebbe per sopravvivere.

Quello che fa l’apicoltore, sapendo quanto miele occorre alle api per passare l’inverno, è prelevare il surplus di miele immagazzinato nelle parti più alte dell’arnia in un’apposita “scatola” di legno chiamata MELARIO.

Ecco le varie parti che compongono un'arnia, la casa che gli apicoltori forniscono alle api. Le api popolano l'arnia, costruiscono i favi di cera e svolgono il loro lavoro come fanno da milioni di anni.

Ecco le varie parti che compongono un’arnia, la casa che gli apicoltori forniscono alle api. Le api popolano l’arnia, costruiscono i favi di cera e svolgono il loro lavoro come fanno da milioni di anni.

 

Per svolgere queste operazioni esistono tanti metodi diversi, per non infastidire particolarmente le api è possibile rimuoverle dai telaini utilizzando una spazzola a setole molto morbide oppure installare un apiscampo, cioè un dispositivo che permette alle api di scendere dal melario al nido ma non di risalire.

Installare l’apiscampo uno o due giorni prima di prelevare il melario è un ottimo metodo per portare i melari in laboratorio senza arrecare troppo fastidio alle api.

 

FARE APICOLTURA NON E’ NATURALE

Alcune persone sono convinte che gli apicoltori rinchiudano le api all’interno delle arnie in qualche modo, per cui vorrei cogliere l’occasione per chiarire questo aspetto grazie al quale spesso si dà luogo a grossi fraintendimenti.

Le arnie sono soltanto un contenitore reso appositamente ospitale dall’apicoltore con lo scopo di fornire alle api una casa e di farle sentire come a casa loro. La conoscenza basilare del comportamento delle api ha permesso negli anni di realizzare arnie in grado di ospitare questi insetti e al tempo stesso produrre miele in eccedenza. Tutto questo ovviamente senza la necessità di uccidere tutte le api, come invece avveniva in passato.

Le api volano ed è proprio volando che raccolgono nettare e polline e producono miele.

Potrebbero andarsene in qualsiasi momento dalle arnie in legno che gli vengono fornite, il fatto è che quando scelgono un luogo per fondare la propria colonia se ne vanno solamente durante la sciamatura (ma non tutte, come abbiamo visto) oppure se accadono fenomeni particolarmente stressanti che le obbligano ad abbandonare la propria casa.

L’ingresso delle arnie rimane sempre aperto, per cui le api non vengono affatto rinchiuse o segregate!

Per alcune persone inserire api dentro ad arnie in legno costruite dall’uomo non è considerato “naturale”.

Questa cosa mi ha dato molto da riflettere e dopo essermi documentato e confrontato con altre persone (apicoltori e non) ho capito che ogni persona possiede una personalissima versione del significato della parola naturale.

  • È naturale che le api vadano ad insediarsi dentro al cassettone di una serranda?
  • È naturale mangiare frutta e verdura in qualsiasi stagione proveniente da qualsiasi parte del mondo?
  • È naturale mangiarsi un pomodoro o una mela frutto di migliaia di anni di selezione effettuata dall’uomo?

Potremmo andare avanti all’infinito…

Se è naturale tutto ciò che non è stato creato dall’uomo allora dovremmo regredire tutti allo stato delle tribù di cacciatori/raccoglitori dove si raccoglie ciò che si trova in natura, non facendo alcun tipo di selezione.

Cosa è naturale e cosa non lo è? Finché non riusciremo a metterci d’accordo sulla definizione di naturale, sarà meglio utilizzare questo termine con parsimonia.

 

IL MIELE

Ma come viene tecnicamente prodotto il miele dalle api?

Le api prelevano il nettare zuccherino così com’è dai fiori.

Poiché questo nettare è principalmente formato da acqua e zuccheri, le api provvedono a portarlo dentro all’alveare e ad asciugarlo, altrimenti per via l’alta percentuale d’acqua andrebbe a male (cioè fermenterebbe).

Per asciugarlo consegnano il nettare alle api di casa, che provvedono a far evaporare l’acqua in eccesso esponendo la gocciolina di miele in formazione all’aria calda e asciutta dell’alveare. La gocciolina è poi deposta all’interno delle cellette dei favi dove si completa il processo di evaporazione (maturazione), fino a raggiungere il livello necessario a rendere conservabile il prodotto. A quel punto la celletta dell’alveare viene sigillata con uno strato di cera (detto opercolo).

Non è corretto affermare (come fanno alcuni) che il miele sia vomito d’ape, in quanto il miele che viene passato da un’ape all’altra staziona in una sacca chiamata borsa melaria che non è lo stomaco dell’ape e non è nemmeno l’equivalente del nostro stomaco (se proprio vogliamo paragonare la nostra fisiologia a quella delle api).

Disegno borsa melaria dell'ape

Rappresentazione estremamente semplificata dell’apparato digerente dell’ape. Il miele non è quindi “vomitato” dall’ape, poiché quando arriva allo stomaco viene assorbito ed utilizzato come nutrimento.

 

La borsa melaria serve proprio a favorire lo scambio di miele da un’ape all’altra attraverso un fenomeno altamente sociale chiamato trofallassi.

Quando le api vogliono nutrirsi, non fanno altro che lasciar passare il miele dalla borsa melaria al vero e proprio stomaco, dal quale il miele non risale più. Quindi l’analogia che a volte si fa per impressionare negativamente i consumatori di miele lascia il tempo che trova.

 

L’IMPOLLINAZIONE

Le api, così come tutti gli esseri viventi, sono estremamente importanti per l’uomo e per tutto il regno animale e vegetale.

Il servizio più importante che noi consumatori siamo abituati a dare per scontato è quello dell’impollinazione.

L’apicoltore oggi si trova ad essere sempre più spesso quella figura di mezzo fra l’agricoltore ed il consumatore finale.

Si dice infatti che le api siano degli ottimi bioindicatori, vale a dire che restituiscono all’apicoltore informazioni utili a comprendere se l’ambiente in cui lavorano è salubre o meno.

Teniamo sempre a mente che questi insetti hanno un raggio d’azione, detto di bottinamento, estremamente ampio (parliamo di svariati ettari).

Su queste superfici ogni singolo alveare effettua milioni di campioni quotidianamente (prelevando nettare e polline) su piante e fiori nell’area circostante, per cui riescono a restituirci una fotografia estremamente fedele dell’ambiente in cui vivono.

Ci sono molti apicoltori oggi che hanno a cuore il benessere delle proprie api (del resto se stanno bene loro, stiamo bene anche noi) e che producono miele rispettandole profondamente, con cure ed attenzioni che chi non è del settore difficilmente potrebbe immaginare.

Spesso si sente dire “gli apicoltori sfruttano le api” ma la questione è molto più complessa.

Se si ragiona in questi termini potremmo anche dire che chi mangia solo verdura sfrutta allo stesso modo il lavoro delle api e degli impollinatori. Anzi, a conti fatti mangiare alcuni tipi di frutta e verdura impatta sulle api in misura maggiore rispetto al lavoro degli apicoltori.

Facciamo un esempio, parliamo dell’utilizzo dei pesticidi.

 

L’UTILIZZO DEI PESTICIDI

Lo scopo primario dei pesticidi è quello di uccidere/controllare insetti, acari e microrganismi.

E qui nasce il problema, perché anche le api sono insetti!

La produzione di frutta e verdura in regime di monocoltura è un vero e proprio flagello per le api e gli altri insetti impollinatori.

Quando concentriamo una singola coltura (come ad esempio avviene nei mandorleti Californiani) eliminando tutto il resto per ettari ed ettari, creiamo sostanzialmente due grossi problemi:

  • Concentriamo tutti i parassiti di quella particolare coltura in una singola zona, permettendo loro di espandersi e di creare potenzialmente danni ingenti. Per ovviare a questo si rende necessario l’utilizzo di insetticidi che purtroppo vengono spesso usati in sovradosaggio, per non rischiare di perdere o vedere danneggiato il raccolto.
  • Costringiamo le api a nutrirsi solo ed esclusivamente su un tipo di coltura che generalmente ha una durata limitata.

E quando la coltura sfiorisce che succede?

Le api e gli impollinatori non hanno più nulla da mangiare, si trovano di fronte ad un vero e proprio deserto alimentare.

Per via dell’assenza degli impollinatori, l’industria delle mandorle della California, che produce circa l’80% delle mandorle che troviamo nel mondo, è costretta ad assoldare apicoltori che viaggiano attraverso tutta l’America solo per impollinare queste piante.

Durante questo periodo le api vengono nutrite artificialmente, irrorate di pesticidi e sono costrette a sopportare viaggi su camion di migliaia di km (pratica che non è affatto priva di conseguenze, dato che sui lunghi trasporti si registrano varie perdite di alveari).

Personalmente non condivido la scelta di fare nomadismo (ovvero lo spostamento degli alveari sulle varie fioriture), perché si tratta di una pratica molto stressante per le api.

Ma c’è chi lo fa e credo sia giusto prendere atto di questo, ovvero del fatto che non tutti praticano l’apicoltura allo stesso modo.

Esistono persone che mettono l’ape al centro della propria azienda apistica così come ci sono persone che mettono la produzione di miele al primo posto. Ciò che possiamo fare è scegliere, informarci, fare domande e premiare chi lavora in maniera eticamente responsabile.

Il miele è un alimento che ha rivestito un ruolo fondamentale nell’evoluzione dell’uomo (qui puoi trovare l’articolo che Silvia ha scritto a riguardo), depennarlo dalla propria dieta solamente perché alcune aziende spingono troppo sulla produzione, sarebbe come non comprare più scarpe a prescindere perché alcune aziende nel mondo praticano lo sfruttamento minorile in paesi del terzo mondo per la manodopera.

E degli altri prodotti dell’alveare che cosa possiamo dire? Parliamo della cera:

 

IL “FURTO” DI PROPOLI E CERA

Foto di ape sul favo di cera costruito.

 

La cera dei favi viene (di norma) sostituita periodicamente dall’apicoltore. Noi ad esempio cerchiamo di sostituire almeno due favi all’anno per ogni alveare, di modo che ogni famiglia non abbia favi più vecchi di 5 anni. Quello che accade è che i favi col tempo tendono a diventare sempre più scuri fino a raggiungere un colore nero-pece.

Più questi favi vengono utilizzati per deporre le uova, più lo spazio all’interno delle cellette diminuisce, dato che i bozzoli delle larve (detti esuvie) non vengono rimossi e quindi di anno in anno lo spazio disponibile alle api nascenti diventa sempre più risicato. Sostanzialmente col passare degli anni nascono api sempre più piccole.

Al tempo stesso la cera (che si comporta un po’ come una spugna) accumula sporcizia. Il rinnovamento periodico dei favi quindi presenta molteplici vantaggi:

  • Contribuisce alla salute delle api attraverso il mantenimento sul lungo periodo di un ambiente salubre.
  • Permette inoltre alle operaie di far lavorare le ghiandole della cera, grazie alle quali costruiscono con le loro stupefacenti opere di ingegneria i favi.

Come per tutto, esistono metodi più o meno etici per estrarre questi materiali, ad esempio è possibile spingere al massimo la produzione di cera o di propoli utilizzando particolari stratagemmi, ma come si è già detto non tutti gli apicoltori lavorano allo stesso modo e piuttosto che demonizzare tutta la categoria, ha decisamente più senso fare domande e interrogarsi su come lavora il proprio apicoltore o azienda di fiducia.

Il beneficio in questo caso sarà sia per le api che per il consumatore e l’apicoltore stesso!

 

LA SOPRAVVIVENZA IN NATURA

Api “naturalmente” insediate nel cassettone di una serranda presso una vecchia colonia estiva abbandonata.

 

I grandi problemi delle api oggi vanno principalmente ricondotti all’utilizzo spesso massiccio di pesticidi in agricoltura e alla presenza endemica dell’acaro varroa che indebolisce le api e le rende meno reattive in caso di problemi sanitari. Se ti interessa approfondire, ne ho parlato più nello specifico in questo articolo sulla varroa. Trovi inoltre in altri miei articoli informazioni sulle cause del declino degli impollinatori e su come si possono aiutare le api.

Un’apicoltura attenta può permettere alle api di superare questi momenti di grandissima difficoltà; la gestione di questo acaro che, ripeto, è presente in tutte le famiglie di api, ha priorità assoluta nella conduzione degli alveari ed è una lotta impegnativa (sia in termini economici che in termini di tempo), che vede l’apicoltore al fianco delle api e non come antagonista!

 

CONCLUSIONI

Mangiare miele prodotto responsabilmente crea più domanda per quello specifico tipo di prodotto. Credo fermamente sia giusto premiare chi produce rispettando le api, piuttosto che fare di tutta l’erba un fascio.

In Italia ci sono moltissimi apicoltori hobbisti che hanno estrema cura delle proprie api e non commercializzano un grammo di miele, al tempo stesso forniscono uno straordinario servizio di impollinazione ed incentivano la biodiversità vegetale.

Possiamo forse incolpare anche loro di sfruttare le api?

Se è anche vero che il miele (almeno al giorno d’oggi) non è un prodotto essenziale alla nutrizione umana, non si può certo dire lo stesso di tutta la frutta e la verdura che mangiamo quotidianamente grazie al lavoro delle api. (Per maggiori info leggi l’articolo: conseguenze della scomparsa degli impollinatori).

Come abbiamo visto, il mondo vegetale ed animale sono sistemi interconnessi ed estremamente complessi.

Sono mondi in cui il bianco e il nero non esistono, ci sono bensì svariate sfumature che, ancor prima di essere giudicate, andrebbero innanzitutto comprese.

Apprezzerei molto vostri commenti e domande su questo articolo! Usate il box dedicato ai commenti per farmi sapere cosa ne pensate. Iscrivetevi al blog o alle nostre pagine Facebook, Twitter, YouTube ed Instagram per avere sempre aggiornamenti in tempo reale!

A presto!

Luca