Api assassine, The Deadly Bees, The Bees, 1313: Giant Killer Bees!, Swarmed – Lo sciame della paura. Sono solo i titoli di alcuni dei film (generalmente di serie B) che hanno cavalcato l’onda di paura legata alla veloce propagazione di questo particolare tipo di ape.
Ma sono veramente così pericolose?
Ne abbiamo parlato anche in questo video, clicca qui sotto per vederlo!
In questo e in alcuni dei prossimi articoli parlerò delle informazioni che sono riuscito a trovare sulle api africanizzate.
Pur essendo effettivamente insetti potenzialmente letali per l’uomo e non solo, ripercorrere la storia della diffusione di queste api ci può aiutare a trarre qualche conclusione e magari ad imparare dagli errori commessi.
ORIGINE
Negli anni 50 il biologo e genetista brasiliano Warwick Kerr, maturò l’idea di prelevare api africane (apis mellifera scutellata, originaria dell’Africa centro orientale) per sperimentare incroci con altre sottospecie, ad esempio apis mellifera ligustica e apis mellifera mellifera.
Il motivo? Kerr rimase affascinato da alcuni resoconti sulla produzione di miele delle api africane, presentati all’epoca sul South African Bee Journal.
Il ragionamento alla base poteva essere corretto, in fondo l’ape europea che veniva importata ed utilizzata dagli apicoltori brasiliani non era particolarmente adatta al clima tropicale (tipicamente molto caldo e umido). Così si cercò di sfruttare l’adattamento genetico dell’ape africana a quel particolare clima.
Fu così che nel 1957 queste colonie vennero posizionate in una foresta di eucalipto in Brasile, a San Paolo, per poter effettuare ulteriori test sul campo.
L’ingresso delle arnie era dotato di un escludiregina, ovvero una griglia che permette solo ed esclusivamente alle api operaie di uscire dal nido. In questo modo la regina sarebbe rimasta confinata e quindi impossibilitata a propagare la propria genetica nell’ambiente. O almeno questi erano i piani.
Ad un certo punto infatti, alcuni apicoltori locali decisero di rimuovere queste griglie, e fu così che 26 famiglie sciamarono, scomparendo nella foresta.
Da quel momento le famiglie si sono diffuse e riprodotte con estrema rapidità in tutta l’America del sud e in America centrale. Per dare un’idea, il fronte di espansione di queste api oscillava fra i 300 ed i 500 chilometri all’anno, con una densità di circa 6 colonie per chilometro quadrato (anche se in alcuni casi sono state segnalate densità di ben 108 colonie per chilometro quadrato).
Il meccanismo di diffusione, del quale parlerò in maniera più approfondita nei prossimi articoli, viene sostanzialmente accelerato all’esasperazione grazie ad alcune caratteristiche che alle api africane hanno permesso di sopravvivere nel loro particolare habitat naturale.
Le caratteristiche principali sono:
- Forte propensione alla sciamatura.
- Tendenza a creare piccole colonie e ad abbandonarle con facilità (absconding) in caso di disturbo o di scarsità di nettare.
- Capacità di coprire grandi distanze negli spostamenti dal vecchio nido alla nuova postazione.
RIPERCUSSIONI
Espandendosi in maniera così aggressiva, l’ape africanizzata ha scatenato un forte impatto a livello di:
- Opinione pubblica (a causa sia di incidenti che sono costati la vita ad alcune persone che della grande attenzione ottenuta sui media).
- Gestione delle aziende di apicoltura: molte grandi aziende hanno visto le proprie api diventare d’un tratto estremamente aggressive; coloro che non sono riusciti a modificare il proprio metodo di lavoro hanno finito spesso col chiudere l’azienda. Non era possibile gestire alveari con api africanizzate nelle vicinanze di centri abitati o altri allevamenti.
- Gestione agricola: l’impiego di api africanizzate impediva agli agricoltori di poter lavorare liberamente e creava problemi al bestiame.
PERICOLOSITA’
Mark L. Winston, uno scienziato che a lungo si è occupato di api africanizzate, nel suo libro “Killer Bees – The africanized Honey bee in the Americas” ci racconta di come sia stato possibile in molti casi scongiurare incidenti mortali (nonostante la grande diffusione di queste api) semplicemente arrivando preparati al momento in cui le api africanizzate sarebbero giunte sul territorio.
Uno dei peggiori attacchi registrati avvenne in Costa Rica nel 1986. Uno studente di botanica, Inn Siang Ooi, dell’Università di Miami, era in escursione su una collina ripida. Arrampicandosi su una roccia, si trovò di fronte ad un grande nido all’aperto di api africanizzate. Lo sciame esplose e le api furono su di lui nel giro di qualche secondo; incapacitato a correre poiché la collina era troppo ripida, Ooi andò nel panico. Cadde in una fessura nella roccia e rimase bloccato, incapacitato a scappare. I soccorritori stessi furono allontanati dagli attacchi delle api, e tre di loro vennero punti in maniera talmente grave da collassare. Il corpo di Ooi fu recuperato dopo che fece buio, quando le api ritornarono al nido.
Una successiva analisi rivelò che era stato punto da 8000 api, con una media di 7 punture per centimetro quadrato di pelle. La morte di Ooi, così come quella di altre persone attaccate dalle api africanizzate, fu causata da una reazione sistemica determinata dall’esposizione massiccia al veleno d’ape.
Si tratta certo di morti terribili, ma quanto sono frequenti questi incidenti?
Ebbene le statistiche riportano una probabilità che oscilla fra quella di morire per il morso di un serpente e quella di morire colpito da un fulmine.
Ma che cosa sappiamo nel dettaglio del comportamento di queste api africanizzate?
E come hanno agito i governi dei vari paesi per contrastare l’arrivo delle api africanizzate? Ma soprattutto, ci sono riusciti?
Parlerò di questo nei prossimi articoli dedicati a questo affascinante argomento!
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A presto!
Luca
FONTI:
IMMAGINI:
- Copertina: Originale “adult Apis mellifera scutellata in Florida” By Jeffrey W. Lotz, Florida Department of Agriculture and Consumer Services, Bugwood.org – CC BY 3.0, adattata dall’autore dell’articolo e distribuita con licenza CC BY 3.0
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